Oltre le pagine di… Controvento
Isole Controvento
Alla scoperta di Capo Verde
Fogo è un’isola di Capo Verde, si trova a sud dell’arcipelago e fa parte del gruppo delle isole Sotavento. Quarta per grandezza e prima per altitudine con il punto più alto che tocca i 2.829 metri. Al centro dell’isola c’è un vulcano attivo. São Filipe è la città principale e gli abitanti dell’isola vivono principalmente di agricoltura e pesca. Sull’isola si producono caffè e un famoso vino, il Manecom, esportato anche in Sudamerica.

«Non aveva avuto una vita facile. Era nata a Portela, un villaggio miserabile e grigio dell’Isola di Fogo, sul dirupo di un vulcano immenso, dove si cresceva tra siccità e fame, febbri e dissenteria».

«Seguì una breve corrispondenza e, nel giro di quindici giorni, São si mise in cammino verso Tarrafal, per prendere la nave che l’avrebbe portata all’Isola di Santiago».
Santiago è la prima isola di Capo Verde a essere stata scoperta dagli europei. La più grande e la più popolosa dell’arcipelago. Fa parte del gruppo delle isole Sotavento, nel Sud dell’arcipelago. Santiago è diventata meta turistica anche noi europei, grazie alla presenza di un aeroporto internazionale. Storicamente gli abitanti dell’isola hanno sempre vissuto di agricoltura (grano, zucchero di canna, caffè, banane e mango), pesca e artigianato, ma ultimamente anche il settore turistico si è molto sviluppato. Il paesaggio è variegato, fatto di rilievi montuosi e valli profonde alternate a coste frastagliate e spiagge bianchissime.
L’isola di Maio appartiene alle isole Sotavento e prende il nome dal mese in cui gli esploratori portoghesi giunsero sulle sue coste, il maggio del 1460.
A differenza delle sviluppate e frenetiche Sal e Boa Vista, l’isola di Maio sembra essersi fermata nel passato. Non ci sono resort di lusso né gruppi di turisti ma una popolazione sorridente e disponibile e la vita scorre a un ritmo lento e rilassato. Un soggiorno sull’isola è ideale per chi volesse apprezzare in piena libertà l’ambiente selvaggio e incontaminato.

«Si abbracciarono con gioia. Ilda le annunciò che era venuta a salutarla: “Domani prendo la nave per Maio” le disse».
São Vicente fa parte delle isole Barlavento, che si trovano sopra i venti Alisei. È un’isola semi-pianeggiante di origine vulcanica che presenta ancora oggi alcuni crateri, in particolare quello che forma la baia di Mindelo (in foto). Il punto più alto dell’isola è il Monte Verde, con 725 metri di altezza. São Vicente è una delle isole più popolate di Capo Verde, la maggior parte della popolazione è concentrata nel capoluogo Mindelo.

«Le raccontò la sua vita. Era nato a São Vicente, e faceva il pescatore da quando aveva dodici anni».

«La nostalgia, la nostalgia della mia terra, São Nicolau. E rideva. Sapeva che lei non avrebbe provato nostalgia quando sarebbe stata lontano, perché poi sarebbe tornata portando con sé tutto il bene possibile».
São Nicolau è un’isola dell’arcipelago di Capo Verde appartenente alle isole di Barlavento, nella parte a Nord dell’arcipelago. In passato l’attività vulcanica molto intensa ha scolpito la forma attuale dell’isola. È molto imponente e maestosa e la montagna più alta è il Monte Gordo, con 1.304 metri di altezza.
Al centro dell’attività intellettuale di Capo Verde, si considera la culla del movimento letterario Claridade, fondato nel 1936 da Baltasar Lopes da Silva, Manuel Lopes e Jorge Barbosa, fin da subito punto di riferimento per la letteratura capoverdiana.
In cucina Controvento
Cibi e bevande del romanzo

Ricetta da Il cucchiaio di latta
La cachupa è un saporito stufato di mais e fagioli con carne o pesce, ricco di calorie. A seconda delle disponibilità economiche della famiglia, la cachupa viene preparata con ingredienti diversi, aggiungendo carne (più costosa), oppure pesce (a Capo Verde molto economico). Gli ingredienti di base, però, sono sempre presenti: mais, fagioli, patate e manioca.
Questo piatto viene solitamente consumato a metà mattinata; una sorta di seconda colazione per la popolazione locale abituata a svegliarsi molto presto per lavorare. Il forte potere nutriente della cachupa riesce a conferire l’energia sufficiente per portare a termine i gravosi lavori della giornata.
Ingredienti:
500 g di granoturco
200 g di fagioli secchi borlotti
200 g di fagioli secchi cannellini
4 cucchiai di olio extravergine
1 cavolo verza
1 cipolla
2 spicchi di aglio
2 patate dolci
1 manioca
2 banane verdi
2 salsicce fresche
1/2 pollo (o 1/2 gallina)
2 pomodori maturi
2 foglie di alloro
q.b sale
Procedimento:
Mettere il grano e i fagioli in una grossa pentola con una foglia di alloro e due cucchiai d’olio e portare a ebollizione. Abbassare la fiamma a sufficienza per mantenere un punto di ebollizione costante ma lento. Aggiungere acqua o brodo fino a coprire i fagioli, fare bollire per circa un’ora poi aggiungere la salsiccia, le patate, le banane, la manioca. Continuare a cuocere a fuoco basso per un’ora e mezza (il tempo di cottura può essere ridotto mettendo a mollo i fagioli la sera prima). Fare soffriggere in una padella la cipolla e l’aglio con il pomodoro tagliato a pezzi e due cucchiai d’olio, aggiungere la seconda foglia d’alloro, il pollo e la verza tagliata a strisce e fare ammorbidire. Quando manca mezzora alla fine della cottura aggiungere tutto nella pentola con la carne e i fagioli, aggiustare con sale e pepe e, se dovesse mancare liquido, brodo e portare a fine cottura. Per ottenere un risultato ancora migliore, lasciare risposare la Cachupa a fuoco spento per almeno venti minuti prima di servirla, in modo che tutti i sapori continuino ad amalgamarsi!

«Le piaceva preparare crocchette, cocidos e carne in umido, la lusingava vedere che i piatti tornavano quasi sempre vuoti in cucina e che i clienti si affezionavano».
Ricetta da Agrodolce
Il cocido è uno stufato di origine madrilena a base di ceci, con vari tipi di carne, insaccati e verdure cotti a lungo a fuoco lento. È una pietanza antichissima eppure ancora fortemente radicata nella vita quotidiana dei cittadini della capitale spagnola.
Un piatto unico molto sostanzioso che si serve tradizionalmente per tappe, i cosiddetti tres vuelcos, ovvero “tre rovesciamenti”. Prima si consuma la sopa (zuppa), alla quale viene solitamente aggiunta pasta fina. Seguono i ceci, accompagnati dalle patate e dalle verdure e infine viene servita la carne. Data la sua natura sostanziosa e abbondante, questo piatto si consuma solitamente nei mesi freddi.
Ingredienti
250 g ceci secchi
400 g manzo da brodo
400 g midollo di bue
2 pezzi di pancetta fresca
200 g salsicce (chorizo)
1 patata
2 carote
2 cipolle
1 cavolo verza
1 spicchio di aglio
100g pasta (filini o spaghetti)
q. b. olio extravergine di oliva
q. b. sale
Procedimento
Metti in ammollo i ceci per 12 ore. Trascorse le 12 ore, taglia la carne (pancetta e manzo) a pezzi grossolani e trasferiscili in una casseruola capiente assieme al midollo. Copri con l’acqua, regola di sale e porta a bollore. A questo punto (circa mezz’ora), aggiungi i ceci preferibilmente raggruppati in un sacchetto alimentare (ti sarà più facile recuperarli dopo dalla casseruola).
In un pentolino, cuoci il chorizo in acqua bollente salata. Nel frattempo, pela le carote e le patate e dividile a metà. Sbuccia la cipolla e tagliala a metà. Taglia finemente la verza, sbollentala in acqua bollente salata per qualche minuto e scolala.
Versa l’olio extravergine di oliva e l’aglio in camicia in una padella antiaderente e fallo dorare. Aggiungi la verza e prosegui la cottura per 10-15 minuti, o finché non risulta morbida. Dopo un’ora di cottura della carne, aggiungi le carote e la cipolla al brodo. Dopo altri 30 minuti, aggiungi anche le patate e prosegui la cottura per altrettanti minuti. A questo punto, controlla la cottura delle verdure e, se necessario, prolungala di qualche minuto.
Le empanadas sono una pietanza tipica argentina, diffusa in tutta l’America latina. Secondo la tradizione venivano preparate dalle donne per festeggiare il ritorno degli uomini dalle pampas.
Le empanadas argentine sono dei fagottini di pasta a forma di mezzaluna con un ripieno saporito e speziato, più comunemente a base di carne bovina ma ne esistono molte varianti. Spesso le ricette cambiano a seconda delle disponibilità degli ingredienti e dei gusti non solo tra le province dell’Argentina, ma anche tra famiglia e famiglia: ad esempio in alcune ricette per il ripieno si possono usare tonno e gamberi al posto della carne.
Ingredienti:
Per l’impasto:
250 g di farina
1 tuorlo d’uovo
40 g di burro
1.5 cucchiai da tè di sale
70 ml d’acqua
1 cucchiaio da tavola di olio di semi
1 cucchiaio da tavola di zucchero
1 tuorlo d’uovo per spennellare
1 cucchiaio da tavola di latte intero per spennellare
Per il ripieno:
300 gr di carne macinata di manzo
1 patata
1⁄2 peperone rosso
1⁄2 peperone giallo
2 cucchiai da tè di concentrato di pomodoro
1 cipolla
1 spicchio d’aglio
2 pizzichi di origano essiccato
q.b. sale
1 cucchiaio da tè di cumino
1 peperoncino rosso piccante
3 cucchiai da tavola di olio extravergine d’oliva
3 cucchiai da tavola di olive verdi
2 pizzichi di pepe bianco
Procedimento
Prepara prima di tutto l’impasto: riunisci nella ciotola dell’impastatrice la farina, lo zucchero, il tuorlo, il sale, l’acqua e l’olio extravergine. Aziona la macchina dotata di gancio a uncino e fai lavorare gli ingredienti prima a bassa velocità aumentando gradualmente per far sì che l’impasto di formi. Togli l’impasto dalla ciotola dell’impastatrice e lavorala a mano, quindi forma una palla e trasferiscila in una ciotola, copri con la pellicola e lasciala riposare in frigorifero per almeno 30 minuti (in assenza di impastatrice si può procedere a mano).
Nel frattempo prepara la farcia: affetta grossolanamente la cipolla e falla soffriggere in una padella, preferibilmente di ferro, con un giro d’olio extravergine d’oliva. Trita l’aglio, aggiungi anch’esso in padella e continua a soffriggere il tutto. Procedi allo stesso modo an- che con un peperoncino che avrai privato di semi. A questo punto unisci anche la carne macinata che dovrà rosolare fino a cambiare completamente colore. Mentre la carne rosola, pulisci e taglia i peperoni a tocchetti. Quando la carne è ben rosolata, unisci anche i peperoni alla padella e mescola bene.
Condisci il ripieno che stai preparando con pepe bianco, origano secco, sale e cumino. Aggiungi anche il concentrato di pomodoro e lascia cuocere a fuoco basso per 10-15 minuti. Sbuccia la patata già lessata, tagliala a tocchetti e uniscila in padella insieme alle olive verdi snocciolate. Lascia insaporire per qualche minuto, quindi trasferisci il tutto in una ciotola a raffreddare.
Riprendi l’impasto e stendilo a uno spessore di circa 2 mm e ricavane tanti dischi di circa 11 cm di diametro usando o una tazza o un coppa pasta tondo. Farcisci ciascun disco con un cucchiaio di ripieno raffreddato, bagna i bordi con poca acqua e chiudi a mezzaluna. Decora il bordo delle empanadas attorcigliandolo formando un cordoncino decorato. Trasferisci le empanadas in una teglia foderata con carta forno, spennellale con il tuorlo mischiato ad un cucchiaio di latte ed inforna a 200°C per 20 minuti.
Lascia intiepidire prima di servire le tue empanadas!

Ricetta da Cookaround

Ricetta da Foreign Fork
«Imparò a cucinargli i piatti che preferiva, stufato di pesce con il granturco, funje di yucca, agnello piccante con le verdure, e passava ore in cucina, considerando un privilegio poter provvedere a lui in quel modo, felice di pensare che la sera si sarebbe ritemprato dalla lunga giornata di lavoro mangiando i cibi che lei aveva preparato con tutte le cure del mondo».
Il funje è uno dei contorni più cucinati in Angola e rappresenta uno dei piatti più popolari della nazione. Accompagna colazioni, pranzi e cene di numerosissime famiglie rurali in tutto il paese. Si tratta di una specie di porridge a base di farina di manioca, mescolata con acqua. Ha una consistenza liscia e cremosa e un sapore neutro, perfetto per accompagnare alcune pietanze tipiche angolane, molto speziate.
Ingredienti:
2 tazze di farina di manioca
4 tazze d’acqua
Procedimento:
Preriscalda il forno a 350 gradi.
Porta a ebollizione 4 tazze d’acqua sul fornello, in una pentola che può anche essere trasferita in forno con un coperchio. Metti 2 tazze di farina di manioca in una ciotola e bagnale con acqua fredda fino a quando non si forma un composto umido. Incorpora man mano e continua a mescolare. Quando l’acqua bolle, aggiungi la farina già miscelata con l’acqua nell’acqua bollente e frusta per amalgamare bene. Continua a mescolare fino a quando non saranno più presenti grumi. Copri con un coperchio e metti in forno per circa 45 minuti. Il tuo funje è pronto per essere servito come accompagnamento di altre pietanze!
Lo xerém è un piatto tipico portoghese, presente anche nelle culture culinarie brasiliane e capoverdiane. È una sorta di polenta in cui la farina viene cotta con acqua, alloro, burro e sale. È anche il nome dello stesso granoturco con cui la polenta viene fatta. Esistono molte varianti del piatto che dipendono dal luogo in cui lo si cucina e dai prodotti che le differenti regioni offrono. Si consuma spesso come accompagnamento. Nella ricetta che segue lo xerém viene cucinato assieme a della carne di maiale.
Ingredienti
1kg di xerém (granoturco frantumato grossolanamente)
1kg grasso di maiale salato (o grasso animale simile, ma il sapore autentico può essere compromesso)
4 cipolle medie
500 g di carne di maiale a cubetti
Procedimento
Tieni lo xerém in ammollo per tutta la notte nel modo seguente: coprilo con acqua e aggiungi 500 grammi di grasso di maiale e 2 cipolle. Il giorno seguente, metti il rimanente grasso di maiale, le cipolle a fette e la carne di maiale in una grande pentola. Aggiungi lo xerém e una quantità di acqua sufficiente. Porta a ebollizione. Abbassa la fiamma e lascia sobbollire fino a quando tutta l’umidità non sarà stata assorbita.

Ricetta da Caboverde
«Quando il padre fosse rincasato, si sarebbero seduti al tavolo d’angolo della sala da pranzo, avrebbero salutato i clienti che rientravano e mangiato tutto quello che volevano, pesce con le patate, polenta xerém, un bel bicchiere di latte».

«Ma non era stata neppure eccessivamente virtuosa: si era ubriacata troppe volte, a furia di lunghi sorsi di aguardiente che le surriscaldavano il corpo e la facevano scatenare, spingendola a ballare come un’ossessa, o a picchiare i bambini, o a buttarsi per terra, o a fracassare le cose senza motivo».
La bevanda alcolica a cui Jovita si lascia andare un po’ troppo spesso si chiama aguardiente, che significa letteralmente “acqua ardente”, in quanto “brucia” la gola del bevitore. Può avere una gradazione anche molto elevata (dal 30% al 60% di alcol), che dipende dalla distillazione e dalla fermentazione di mosto, zuccheri e macerazioni vegetali. Proprio come la vodka, gli aguardientes possono essere fatti con molte basi diverse di frutta come arance, uva, banane o mele. Esistono anche aguardientes composti partendo da una base di cereali come grano, miglio, orzo o riso. Alcuni sono persino fatti di barbabietole, manioca o patate.
Il grogue, anche chiamato grogu o grogo, è la bevanda nazionale di Capo Verde. È un rum distillato dalla canna da zucchero con una percentuale alcolica del 40%. L’odore della bevanda ricorda la banana calda. Benché la produzione di grogue sia sparsa per tutto l’arcipelago, le produzioni migliori e più antiche sono individuate nell’Isola di Santo Antão. È una bevanda molto utilizzata: si beve ogni volta che si accolgono degli ospiti. Si dice che sia buona norma non fermarsi mai al primo bicchierino, ma arrivare almeno sempre al secondo!

«Sì, aveva ragione Sócrates, un po’ di grogue l’avrebbe liberata dall’oppressione insopportabile che provava dal giorno prima, quella sensazione di essere poco più che una pietra rovente».
Tradizioni Controvento
Passatempi, giochi, danze e ‘spiriti’ nella tradizione popolare

«All’inizio São si stupiva che la gente ballasse al chiuso. Ma ben presto si abituò al frastuono della discoteca, al fumo, alle luci e alle musiche angolane, i kizombas, le sembas e i kuduros, che le entravano nel sangue e le davano la sensazione che tutto attorno a lei fosse irreale, tutto salvo il corpo snodato di Bigador, che la eccitava».
La kizomba è un genere musicale e uno stile di danza nato tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 in Angola. Ballo popolare che mescola la Semba angolana (predecessore della samba) e vari stili musicali come lo zouk, derivanti dalle isole caraibiche
francesi. In dialetto Kimbundu la parola kizomba, oltre ad indicare il genere musicale e lo stile di danza, significa anche “festa del popolo”, ed è il nome originario della danza che ha rappresentato la resistenza alla schiavitù. La kizomba rappresentava la festa e la resistenza culturale di un popolo: è stata l’esaltazione della vita e della libertà.
La semba è anch’essa un genere musicale e uno stile di danza ma, rispetto alla kizomba, è più antica: fu resa popolare, infatti, all’inizio degli anni ’50 dal gruppo N’gola ritmos nella regione della capitale Luanda, da dove viene Bigador, uno dei personaggi del romanzo. Questo genere nasce dalla volontà di creare una musica moderna puramente angolana che si opponesse alla cultura dominante diffusa dall’occupazione portoghese. Grazie alla sua versatilità, viene suonata e ballata in tutte le occasioni, dai funerali alle feste.
Il kuduro è un genere di musica dance elettronica nata in Angola alla fine degli anni ’80 grazie ad alcuni produttori di Luanda che iniziarono a mixare tra loro campionamenti di ritmi calypso e soca, per poi aggiungere in un secondo tempo le sonorità della musica elettronica, importata dall’Europa e dagli Stati Uniti. Il romanzo dà una testimonianza diretta dello sviluppo del genere musicale proprio grazie al racconto della massiccia immigrazione di cittadini angolani nei quartieri di Lisbona, che ha permesso al genere di diffondersi e di diventare sempre più popolare anche in Europa.
Il gioco prende il nome dall’albero i cui semi vengono adoperati per giocare. È un passatempo capoverdiano molto popolare che si può praticare ovunque un ritaglio ombreggiato permetta a due giocatori di appoggiare un banco di Ouril.
Come si gioca
Il banco per giocare è costituito da due file di sei ciotole scavate nel legno, i due giocatori si fronteggiano ai due lati del banco e
all’inizio hanno quattro semi in ogni ciotola. Il gioco consiste nello spostamento dei semi in senso antiorario tra le ciotole, passando la mano alternativamente tra i due giocatori. Ogni giocatore ha diritto a spostare solo i semi delle sei ciotole che sono dalla sua parte. Un giocatore preleva tutti i semi da una delle sue ciotole e li distribuisce nelle successive, uno per ciotola (girando in senso antiorario), fino a finirli. Poi passa la mano all’altro che farà la stessa cosa partendo da una sua ciotola. Se, depositando l’ultimo seme, la ciotola dell’avversario arriva a contenerne uno o due, il giocatore “mangia” (ritira) quei semi. In questo caso mangia anche nelle ciotole immediatamente precedenti se sono nelle stesse condizioni. Se una ciotola ha tre o più semi blocca la mossa e si passa il turno. Se depositando i semi si ripassa dalla ciotola da cui i semi sono stati prelevati, quella viene saltata senza depositare alcun seme. Il gioco continua fino a quando un giocatore rimane senza semi nelle sue ciotole, a condizione che l’avversario abbia ancora semi nell’ultima ciotola alla sua destra. In questo caso dovrà giocare in modo da permettere all’avversario di continuare il gioco. Vince chi ha “mangiato” più semi.
«Ma lei affrontò i loro sguardi, irradiando un coraggio e un’indipendenza che li indusse a lasciarla in pace, a tornare a immergersi nelle loro chiacchiere, nelle loro bevute e partite di uril, voltando le spalle a quella femmina che doveva essere mezza matta e a cui decisero di non far caso».

«Gli spiriti di solito facevano lunghe chiacchierate con i vivi. E coglievano l’occasione per dare consigli e avvertimenti per il futuro. Sua madre nella vita era stata informatissima sui mali in arrivo, aveva sempre saputo della morte di vicini e parenti prima che avvenisse grazie ai diversi fantasmi che passavano spesso a trovarla e le raccontavano tutto, a volte per consentirle di evitare le disgrazie, altre semplicemente perché le conoscesse in anticipo e si preparasse».
«Tra l’altro, al contrario di sua madre, Sócrates parlava eccome, nel breve tempo che trascorreva con lei, nella luce liquida e dorata del mattino, finché spariva giusto nel momento in cui i raggi del sole cominciavano a battere con forza sui vetri della finestra, tutte le cose recuperavano la propria ombra e gli uccelli si mettevano a cantare con entusiasmo, dopo i primi timidi accenni dell’alba. Svaniva da un istante all’altro, lasciandole il suo odore tra le lenzuola».
Da Capo Verde al Mondo
«E in quello stesso istante capì che voleva andare lì, in Italia, dove l’esistenza dei bambini non era circoscritta alle spedizioni alla fonte per prendere l’acqua, alle corse nei campi o alle salite all’eremo del Monte Pelado, ma offriva una vasta scelta, giocattoli, leccornie, scuole, disegni che parlavano e si muovevano e, addirittura, un infinito assortimento di scarpe. Poi un futuro da pianificare, qualcosa da diventare nella vita, un’aspirazione che si sarebbe sviluppata ed estesa fino a convertirsi in realtà, come le crisalidi immobili si trasformano in bellissime farfalle che dispiegano le ali e adornano il mondo».
Le circostanze portano São, uno dei protagonisti del romanzo, a lasciare Capo Verde per il Portogallo, nello specifico per Lisbona, come è successo a moltissimi suoi concittadini. Il suo sogno però era andare in Italia, luogo in cui si immagina di poter studiare, trovare un lavoro e condurre una vita serena. Il flusso migratorio tra Capo Verde e la penisola italiana, del resto, è ben presente e comincia già a partire dalla fine degli anni ’50. Inizialmente erano soprattutto le donne ad abbandonare la propria terra in favore di un impiego di natura principalmente domestica. Ad oggi esistono studi e statistiche discordanti sul numero di capoverdiani residenti in Italia ma, generalmente, dovrebbero essere tra i cinque e i diecimila.
Tra questi vi è Josè che torna dopo anni nell’isola di Fogo dove è nato e ci racconta la sua storia e i luoghi dell’infanzia nel bel reportage di “Radici, l’altra faccia dell’immigrazione” che potete vedere dal link a sinistra.