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Donne che parlano
CONTENUTI SPECIALI
I fatti di cronaca dietro Donne che parlano
Tra il 2005 e il 2009 più di 130 donne tra i tre e i sessant’anni della comunità mennonita di Molotschna, in Bolivia, sono state vittima di violenza, per mano di mariti, fratelli, uomini della comunità.
Donne che parlano è la risposta immaginata da Miriam Toews, da parte di queste donne.
Le violenze avvenivano la notte, mentre dormivano.
Le donne venivano drogate e il giorno successivo si svegliavano doloranti senza capire cosa fosse successo.
Per tutti i quattro anni queste donne hanno creduto che i colpevoli fossero fantasmi o opere del diavolo, esattamente come gli uomini volevano fargli credere.
Si scoprì poi che i responsabili delle violenze erano otto uomini di Molotschna, molti dei quali parenti stretti delle vittime.
Se siete curiosi di conoscere meglio questi eventi, vi consigliamo il bel servizio di Vice
oppure leggete l’intervista di Miriam Toews al Guardian

Il Plautdietsch, una lingua che viene da lontano
Le donne parlano in plautdietsch, o basso-tedesco, l’unica lingua che conoscono, nonché quella parlata da tutti i membri della colonia – anche se oggi a scuola i ragazzi di Molotschna imparano qualche rudimento d’inglese, e gli uomini parlano anche un po’ di spagnolo. Il plautdietsch è una lingua orale risalente al medioevo, moribonda, un guazzabuglio di tedesco, olandese, pomerano e frisone. Pochissime persone al mondo parlano il plautdietsch, e tutti quelli che lo parlano sono mennoniti.
Il plautdietsch è un dialetto basso tedesco con alcune influenze danesi, che si è sviluppato tra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo in Prussia.
In origine, era un dialetto tedesco come gli altri, finché i mennoniti stabiliti nel sud dell’Impero russo lo adottarono come lingua, per poi esportarlo in Nord e Sud America durante le loro migrazioni tra fine Ottocento e inizio Novecento.
Oggi è parlato da circa 400.000 mennoniti di origine russa, soprattutto in America Latina e tra Stati Uniti e Canada.
- Mejal: “Non fare niente in realtà non era un’opzione, ma consentire alle donne di votare per Non fare niente avrebbe quantomeno stimolato l’autoaffermazione. Mejal (che in plautdietsch significa ‘ragazza’) Loewen, una simpatica fumatrice accanita con due polpastrelli gialli e quella che sospetto essere una vita segreta, si era detta d’accordo”.
Mejal è una delle donne che parlano, che conosciamo all’interno del romanzo di Miriam Toews. Il suo nome deriva dal plautdietsch, e significa semplicemente ‘ragazza’. - Schinda: “Mariche mi ricorda che sono loro, le donne, a stabilire l’andamento di queste riunioni, non una ‘mezza cartuccia’ di contadino fallito, uno schinda ridotto all’insegnamento”.
La parola schinda, nel romanzo, fa riferimento ad August Epp, l’uomo che ha il compito di redigere i verbali delle riunioni tra le donne. Questa parola ha un’accezione dispregiativa, significa ‘mezza cartuccia’, e si usa per sminuire qualcuno, al punto che Epp è autorizzato a prendere parte alle riunioni delle donne, nonostante sia un uomo. - Schatzi: “Viene interrotta da Ona, che ha iniziato a vomitare nel secchio accanto a lei.
Dice Greta: Oh, schatzi.
Agata si alza – ha tenuto le gambe in alto fino a ora – e va da Ona. Le accarezza la schiena e le scosta le ciocche che sono sfuggite dal fazzoletto perché non vengano investite dal getto.
Ona alza la testa e assicura alle donne che sta bene.
Le donne annuiscono”.
La parola schatzi, viene usata non solo in lingua plautdietsch, ma anche in altri dialetti di origine tedesca. Si potrebbe tradurre come ‘tesoro’, ‘cara/o’, ed è in generale un appellativo che si usa per rivolgersi ai propri cari. - Dummkopf: “Non solo abbiamo commesso il peccato di mentire, dice, abbiamo insegnato alle nostre figlie a fare lo stesso. Se incoraggiamo anche Nettie a mentire, saremo colpevoli di esserci approfittate di una dummkopf.
Salomè alza la mano. Nettie non è una dummkopf, sentenzia. Il suo insolito comportamento – attribuirsi un nome da ragazzo e parlare solo con i bambini – è una reazione comprensibile all’aggressione prolungata e particolarmente orribile che ha subìto”.
Il termine dummkopf, con cui nel romanzo una delle donne si rivolge a Nettie, un’altra di loro, ha il significato di ‘ritardata/o’. Nettie viene chiamata così, perché a causa dei traumi subiti, violenti e prolungati, assume degli atteggiamenti visti come strani e sospetti da alcune donne della comunità. Parla solo con i bambini e vuole essere chiamata con il nome maschile di Melvin, forse “perché non vuole più essere una donna”. - Kjinja: “Adesso Nettie/Melvin si è arrampicata sulla scala ed è nel fienile. Tace, in piedi di fronte alle donne. Agata la prega di parlare, di darci notizie da terra.
Nettie fissa la finestra e dice: I bambini piccoli (usa la parola kjinja) sono pronti. Puliti. I vestiti di ricambio sono nei barili. La biancheria è nei barili. Gli stivali sono nei barili. I cappelli sono nelle scatole. Hanno mangiato”.
Nettie, che ricordiamo preferisce usare il nome Melvin, e parla soprattutto con i bambini, è la persona a cui questi bambini vengono più spesso affidati. Le piace prendersene cura e quando parla di loro usa il termine kjinja, che significa appunto ‘bambini piccoli’.
Donne senza voce
Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi.
Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni – per forza che siamo sognatrici.
In quasi tutti i suoi romanzi Miriam Toews dà vita a protagoniste femminili spesso eccentriche e un po’ sbarellate, ma forti e tenaci, in continuo viaggio verso i propri sogni e desideri. In questo libro ispirato a una cronaca vera sono nove le donne protagoniste.
Donne mennonite di diversissima età che subiscono una violenza inaccettabile a cui loro stesse non sanno come rispondere.
Per questo Donne che parlano di Miriam Toews è un romanzo coraggioso e necessario. Con questo libro, Miriam Toews ha dato voce a tante donne mennonite, portando alla luce una realtà spesso nascosta e taciuta dalla comunità patriarcale mennonita. La violenza di Molotschna è un fatto relativo a quel paese, ma la vita predestinata e decisa dagli uomini a cui sottostanno le donne della comunità è una realtà presente in tutte le congregazioni old order.
Per saperne di più sulle condizioni delle donne mennonite, vi lasciamo il link all’articolo di Judith C. Kulig, professoressa presso l’Università di Lethbridge.
La cucina mennonita
“Come potete andare a casa e godervi un bel pranzo a base di vreninkje e platz preparato da vostra moglie e poi coricarvi nel vostro letto caldo col vostro piumino per una rilassante maddachschlop – siesta pomeridiana – sapendo che presto vostro figlio brucerà in eterno, urlando tra i tormenti di una sofferenza senza fine?”

Chiamati Vreninkje o Wareneki, questi ‘ravioli mennoniti’ a forma di mezzaluna, sono molto simili ai Pierogi polacchi o dei ravioli ucraini. Vi proponiamo una ricetta di Vreninkje con un ripieno di formaggio patate e cipolla.
Per l’impasto:
1 tazza di panna acida
1/2 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di lievito in polvere
2 tazze di farina
1 albume leggermente sbattuto (conservare il tuorlo per il ripieno)
Mischiare tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto liscio, coprire e conservare in frigorifero per almeno un’ora.
Mentre l’impasto riposa, preparare il ripieno:
2 patate bollite, raffreddate e schiacciate,
1/4 tazza di cipolla saltata e raffreddata
1 tazza di formaggio cheddar grattugiato
Miscelare insieme tutti gli ingredienti. Una volta aver fatto riposare l’impasto per un’ora, stenderlo su un piano infarinato. Disporre delle ‘palline’ di ripieno (aiutandosi con un cucchiaio) sull’impasto disteso, e poi ripiegare l’impasto su se stesso. Poi tagliare i ravioli in modo che abbiano la forma di una mezzaluna.
Cuocere in acqua bollente salata per 5 minuti, una volta pronti saliranno verso la superficie.
Solitamente vengono serviti accompagnati da una salsa al burro e panna acida.

La platz è un tipo di torta, coperta da un crumble, tipica della cucina mennonita. Ecco come prepararla:
Ingredienti:
1 tazza di latte
6 cucchiai di burro
1/2 tazza di acqua fredda
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di lievito istantaneo
1 cucchiaino di sale
3 tazze e mezza di farina
Per il topping:
1 uovo sbattuto
6 cucchiai di burro a temperatura ambiente
3/4 tazza di farina
3/4 tazza di zucchero

Procedimento:
Scaldare il latte, aggiungere il burro e farlo sciogliere, poi spegnere e togliere dal fuoco. Aggiungere l’acqua fredda in modo che il composto raggiunga la temperatura ambiente.
In una ciotola, mischiare zucchero, lievito e sale, aggiungere i liquidi. Mescolare e aggiungere poco per volta due tazze di farina, mescolare fino a ottenere un impasto ruvido e lasciar riposare per 5 minuti. Aggiungere il resto della farina fino a ottenere una palla di impasto liscia (aiutarsi con le mani infarinate).
Coprire l’impasto e lasciare lievitare fino a che non sarà raddoppiato.
Stendere l’impasto in una teglia, eliminando le eventuali bolle d’aria. Sbattere l’uovo e spennellarlo sull’impasto.
Preparare il topping: con una frusta, mescolare il burro a zucchero e farina precedentemente miscelati. Creare un crumble con le mani, e spargerlo sopra la torta. Coprire e lasciare riposare 45 minuti.
Cuocere a 190° per 25-30 minuti, finché non sarà dorato.
Lasciare raffreddare prima di servire.
Gli zwieback, sono prodotti da forno tipici della tradizione mennonita. Sono simili alle nostre brioche e venivano tradizionalmente servite nelle occasioni festive, come la domenica, ai matrimoni e ai funerali.
Ingredienti:
1 cucchiaio e mezzo di lievito
1 cucchiaino di zucchero
1 tazza di acqua tiepida
3 tazze di latte tiepido
1/4 tazza di fiocchi di patate istantanei
3 cucchiai di olio
1 tazza di burro ammorbidito
2 cucchiaini di sale
7 tazze di farina (più un pizzico per il piano di lavoro)
Procedimento: Aggiungere in una ciotola lievito e zucchero all’acqua tiepida e lasciar riposare 10 minuti.
Scaldare il latte e aggiungere i fiocchi di patate istantanei, mescolare. Poi aggiungere questo mix all’olio e il sale al lievito e mischiare tutto in un’ampia ciotola. Poi aggiungere il burro a 3 tazze di farina e unire anche questi nella ciotola. Aggiungere il resto della farina e impastare fino ad avere un impasto liscio (se usate la planetaria, se impastate a mano, aiutatevi con il piano di lavoro infarinato).
Mettere l’impasto in una ciotola coperta e lasciar lievitare finché avrà raddoppiato le sue dimensioni, circa un’ora.
Creare delle palline di impasto, con una conca al centro, in cui riporre delle altre palline di impasto, più piccole, in modo che si crei una ‘pallina doppia’.
Lasciare riposare un’altra ora, finché non avranno raddoppiato il loro volume.
Cuocere in forno preriscaldato a 200 gradi per 20 minuti.
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