Oltre le pagine di…
Il maratoneta
Al cinema, Nella New York anni ’70, Nella Storia, Coi personaggi nel backstage
Il maratoneta goes to Hollywood
Dal romanzo al film
Nel 1976, dal romanzo Il maratoneta di William Goldman, è stato tratto un film, sceneggiato dallo stesso Goldman, diretto da John Schlesinger e interpretato da Dustin Hoffman e Laurence Olivier (vincitore del Golden Globe come miglior attore non protagonista).
La sceneggiatura segue in modo fedele il romanzo, fatta eccezione per il finale, che viene completamente stravolto nell’adattamento cinematografico, cosa che fece arrabbiare parecchio Goldman.
Il film ricevette una candidatura agli Oscar e numerose altre candidature e vinse due David di Donatello!
La scena del dentista
La famosa scena di tortura del film Il maratoneta con tecniche da dentista è entrata nella storia del cinema e la domanda di Szell “Is it safe?” (è sicuro?) rivolta a Babe è stata inserita nella classifica delle cento migliori citazioni di tutti i tempi dell’American Film Institute.
In origine, la scena durava molto di più, ma venne accorciata dopo l’anteprima del film a causa delle reazioni del pubblico.
Volete vederla? Siete sicuri? :)))
L’uomo tarchiato parlò. «È sicuro?» chiese tranquillamente.
Babe era del tutto impreparato a una domanda del genere. «Eh?»
«È sicuro?»
«Cosa?»
«È sicuro?»
«Cosa, è sicuro?»
Con immutata pazienza: «È sicuro?»
«Non so di cosa stia parlando».
Nessun cambiamento di tono: «È sicuro?»
Il tono di Babe cominciava ad alzarsi: «Come faccio a dire se qualcosa è sicuro o non lo è, se non so di cosa sta parlando? Mi faccia delle domande precise, e io risponderò, se posso».
«È sicuro?» disse l’uomo tarchiato, duro come un sasso.
«Non posso risponderle».
«È sicuro?»
«Non lo so, ma non mi sente? Non lo so, mi dica almeno di cosa si tratta».
«È sicuro?» Come una macchina.
Stava diventando una tortura cinese. «Sì» disse Babe. «È sicurissimo. Sicuro da non credere. Ecco. Adesso lo sa».
«È sicuro?»
«Visto che ‘sì’ non le va, le dirò ‘no’, non è sicuro, anzi pericolosissimo. Stia attento».
Il making of del film
Avete mai curiosato sul set di un film di Hollywood? Questa potrebbe essere la vostra occasione per farlo. Guardate il video del making of del famosissimo thriller degli anni ’70!
Robert Evans, uno dei produttori del film, parla del dietro le quinte, della scelta degli attori e delle riprese nella città di New York; Dustin Hoffman parla della sua interpretazione di Babe e del suo collega Laurence Olivier; Martha Keller parla del suo rapporto con i colleghi sul set.
Colonna sonora
Uno degli ingredienti fondamentali di un buon film è una buona colonna sonora, e quella de Il maratoneta crea il giusto mix di ansia, suspense e salti sulla sedia, fondamentali per un buon thriller. Senza rinunciare a un tocco di romanticismo.
Ascoltate la colonna sonora del film, ma ve la sconsigliamo se quello che cercate è un po’ di relax!
DI CORSA CON BABE
La New York degli anni Settanta e le sue icone

«Da quando Gimbels East era venuto nell’Ottantaseiesima strada, non potevi più farci affidamento. Era sempre stata la via più rapida per attraversare la città, dieci volte meglio della Settantanovesima; la Settantaduesima, poi, la facevano solo i turisti. No, bisognava prendere l’Ottantaseiesima per filare veramente, e ci mancava proprio che venisse quel Gimbels East a guastare tutto».
Gimbels East
Nel romanzo percorriamo le strade di New York. Uno dei primi luoghi descritti è il grande magazzino Gimbels East, visto dal finestrino dell’auto di Rosenbaum, un personaggio secondario.
Come sottolinea Rosenbaum, questo non è il Gimbels originale. Infatti questo fu costruito come secondo centro commerciale della catena, ma in una posizione sfortunata. Troppo in bilico tra la comunità ricca di Manhattan e quella molto povera di East Harlem, non riuscì mai a emergere.
Oggi lo storico palazzo esiste ancora, ma ospita degli appartamenti.
Diamond district
Situato all’interno del quartiere di Yorkville, Manhattan, deve il suo nome alle migliaia di ebrei ortodossi che durante il periodo nazista si sono rifugiati a New York e che qui hanno deciso di continuare la loro attività legata al commercio dei diamanti e delle pietre preziose.
E’ teatro di una delle scene con più tensione del libro: Szell, feroce criminale nazista passeggia tra i negozi che vendono diamanti per accertarsi del valore dei suoi gioielli, ma all’improvviso viene riconosciuto da una donna e da un commesso, sopravvissuti ai campi di concentramento. Il criminale, circondato da dagli sguardi interrogativi dei passanti riesce a fuggire per l’ultima volta…
«Mentre passeggiava per la Sixth Avenue, non capiva bene da dove venisse la parola ‘Engel’, se dalla sua mente o da un negozio di dischi; ma quando venne ripetuta: una seconda volta, si rese conto che non era solo ‘Engel’, era ‘der Engel’, e Szell sentì una lieve accelerazione del battito del polso, molto fastidiosa perché ora la voce – era una voce di donna, quasi un urlo – era diventata «Der weisser Engel, der weisser Engel!», e Szell non si sentiva chiamare a quel modo, l’Angelo bianco, dai tempi di Auschwitz».
«“Perché è venuto alla Columbia, Levy?”.
“E’ andata così”.
“No, non è semplicemente andata così, Levy, perché anche suo padre vinse la Rhodes e anche suo padre frequentò quel buco di scuola nell’Ohio e anche lui venne qui per il dottorato. In un libro di James Bond c’è una frase, che dice: la prima è coincidenza; la seconda, un caso; la terza, una mossa del nemico”».
Columbia University
Levy ha vinto una borsa di studio che gli permette di studiare alla Columbia University, una delle più prestigiose università americane, e la stessa in cui studiò anche suo padre.
Fondata nel 1754 come King’s College con sede a Lower Manhattan, è la più antica Università di New York e oggi uno dei più importanti istituti accademici al mondo. Fa parte della Ivy League, un titolo che accomuna le otto più prestigiose ed elitarie università private degli Stati Uniti d’America.
Tra gli ex studenti, ricercatori e professori della Columbia ci sono ben 101 premi Nobel!
BORN TO RUN
La maratona, uno degli sport più antichi del mondo: le sue origini, i suoi campioni.

«Perché Levy non sarebbe diventato un maratoneta. Chiunque può riuscirci, se ci si dedica anima e corpo. No, lui sarebbe diventato il maratoneta, e al tempo stesso un intellettuale di straordinaria qualità, dotato di un ineguagliabile ampiezza di nozioni, il tutto ammantato da un senso di modestia autentico quanto profondo».
Dalle origini della Maratona al sogno del protagonista Babe, di diventare il maratoneta, sono passati molti secoli. La competizione sportiva deve il suo nome alla “Battaglia di Maratona” del 490 a.C. che si combatté nell’omonima cittadina tra ateniesi e persiani. Quando i persiani attraccarono sulle coste greche, gli ateniesi chiesero all’emerodromo (messaggero addestrato a compiere enormi distanze in breve tempo) Filippide di correre a Sparta per chiedere aiuto. Secondo la leggenda, Filippide coprì gli oltre 200 chilometri in poco più di un giorno, da qui il nome della competizione.

«Lungo il percorso della maratona non c’è mai tanta gente, alla partenza e all’arrivo sì, perché si svolgono tutt’e due allo stadio, mentre lungo il percorso c’era solo qualche raro spettatore, che se ne stava sul bordo della strada a guardare quei pazzi che si affannavano, perché bisognava essere pazzi per costringere il proprio corpo a un simile sforzo».
Maratona di NY
La prima edizione è del 1970, ma non ebbe molto successo. Ma col tempo è diventata la maratona più famosa al mondo. Ogni anno raccoglie più di 40.000 atleti. Date le numerosissime richieste di atleti amatoriali, l’estrazione dei partecipanti è affidata a una lotteria. Dal 2000 è aperta anche ai partecipanti diversamente abili, che gareggiano con la sedia a rotelle.
La partenza oggi è al ponte di Verrazzano, l’arrivo a Central Park e l’itinerario attraversa diversi quartieri,come Brooklyn, il Queens, il Bronx e Manhattan.
Abebe Bikila
Come ricorda Babe, alle olimpiadi di Roma del 1960, Bikila vinse la maratona correndo l’intera distanza senza scarpe, per una precisa scelta tecnica concordata con il suo allenatore. Bikila divenne il simbolo dell’Africa che si liberava dal colonialismo europeo, conquistando la prima medaglia d’oro olimpica del continente africano.
Quattro anni dopo, Bikila si presentò alle Olimpiadi di Tokyo 1964 in forma non smagliante: era stato operato di appendicite sei settimane prima della gara e non ebbe tempo sufficiente per riprendersi del tutto e dedicarsi agli allenamenti. Nonostante le sue condizioni non fossero ottimali, vinse nuovamente (gareggiando, questa volta, con le scarpe), e stabilì anche il miglior tempo mondiale!
«D’un tratto qualcosa gli colpa il piede, qualcosa che gli fece così male da dargli una fitta al cervello, ancora più forte dell’aria sui nervi scoperti, e Babe sperò che non fosse una scheggia di vetro, ma solo un sassolino. Si sarebbe dovuto fermare, lo sapeva. […] Ma che razza di maratoneta era? Quale maratoneta avrebbe mai corso a piedi scalzi? Bikila! Abebe Bikila, il grande etiope che corse alle olimpiadi di Roma»
«Babe era solo a un isolato dalla salita del raccordo dell’autostrada, ma Janeway era già oltre metà isolato e guadagnava terreno, quando Babe si vide davanti Nurmi che lo guardava scuotendo la testa e questo non era bello, Nurmi non avrebbe dovuto giudicarlo per la prestazione di quella notte, quando era in forma poteva gareggiare con chiunque».
Nurmi
I due maratoneti che sono di riferimento per Babe sono Abebe Bikila e Nurmi. Nel corso del romanzo li nomina più volte e capiamo che i due atleti per Babe sono un modello da seguire.
Paavo Johannes Nurmi fu vincitore di nove medaglie d’oro olimpiche e tre d’argento tra il 1920 ed il 1928. È stato uno dei cosiddetti “finlandesi volanti”, soprannome attribuito a lui e altri due atleti per le loro abilità di corridori.
Durante gli anni Venti fu il miglior mezzofondista e fondista del mondo, stabilendo record mondiali su distanze che vanno dai 1500 metri ai 20 km.
LA STORIA OLTRE LA STORIA

(foto da Great Wall a Los Angeles)
«Mio padre era uno storico, un grande storico, e Acheson l’aveva chiamato a Washington, e lui ci andò come fecero Schlesinger e Galbraith più tardi, e si trovava là, quando McCarthy sferrò il suo attacco. […] Lui cercò di difendersi, ma aveva poche probabilità contro quel nazi figlio di puttana… Ci fu un’udienza in senato e mio padre fu semplicemente coperto di merda. Ogni volta che cercava di chiarire qualcosa, McCarthy lo ridicolizzava. Mio padre si dilungava, divagava, e McCarthy lo prendeva in giro. Senza il benché minimo argomento concreto, McCarthy lo uccise. Uccise il suo ego, e quando sei H.V. Levy e i ragazzini cominciano a ridere di te, è finita».
Il tema del Maccartismo è importante per Babe, perché lo lega profondamente a suo padre.
Con Maccartismo si intende un periodo della storia degli Stati Uniti, intorno ai primi anni Cinquanta. In questi anni negli USA c’era una grande paura delle “influenze comuniste”, la cosiddetta “paura rossa”, alimentata dalla presenza di spie sovietiche sul suolo americano e dalla crescente influenza dell’Unione Sovietica sull’Europa orientale.
Il senatore McCarthy promosse delle investigazioni, per identificare persone che potessero avere legami e interessi comunisti. L’ambiente di Hollywood, con molti europei simpatizzanti per la sinistra, rifugiati negli USA durante il nazismo, e quello liberale furono i più colpiti. Nel dicembre 1954 il senatore McCarthy venne screditato.
Il termine maccartismo è entrato in uso come termine generale per i fenomeni di pressioni di massa, persecuzioni e schedature utilizzati per instillare il conformismo con il credo politico prevalente.
Mengele
Goldman sceglie, per creare il suo cattivo, di ispirarsi a Mengele. Unitosi al partito nazista nel 1937, andò volontario durante la guerra come medico militare e andò a lavorare ad Auschwitz dal 1943.
Lì selezionava alcuni prigionieri, gemelli, persone con qualche deformità fisica, nani e portatori di eterocromia, per i propri studi. Mengele effettuava degli esperimenti su queste persone senza dei veri obiettivi scientifici e senza considerazione per la vita umana.
Alla fine della guerra visse nell’anonimato e fuggì in Sudamerica. Sfuggì alla giustizia per il resto della sua vita, un po’ con l’appoggio di simpatizzanti nazisti, un po’ grazie ai continui cambi di residenza, fino alla sua morte, probabilmente dovuta a un attacco cardiaco.
Venne sepolto col nome di Wolfgang Gerard, ma nel 1985 il suo corpo venne riesumato e identificato.
«In un thriller si parte da un cattivo. (Certo, non è una regola, non ci sono regole, ma è quel che ho fatto io e scommetto che se dovessi mai scriverne un altro lo rifarei.) Sono partito da Mengele, il nazista più sconvolgente dal punto di vista intellettuale (dottore in medicina, con tanto di specializzazione)».
Nazisti rifugiati in Sudamerica
Dopo la seconda guerra mondiale moltissimi ex membri delle SS e gerarchi nazisti escogitarono delle vie di fuga prevalentemente verso l’America Latina. Il termine Ratline fu utilizzato dai servizi segreti statunitensi per riferirsi al canale di fuga dall’Europa ideato per nazisti e fascisti. Tale canale si dirigeva verso “paradisi”, come il Sudamerica. In altri casi i criminali si diressero verso Stati Uniti, Gran Bretagna e Medio
Oriente. Le fughe erano organizzate soprattutto dalla Germania alla Spagna per poi passare in Argentina; e la seconda dalla Germania a Roma, poi verso il Sudamerica, per mezzo dell’aiuto anche di alcuni membri del clero e dell’appoggio da parte degli Stati Uniti. Le due vie furono organizzate “indipendentemente” ma alla fine ci fu un coordinamento.
Tra i più noti criminali di guerra fuggiti in Sudamerica ci fu anche Mengele, a cui Goldman si ispirò per il personaggio di Szell de Il maratoneta.
(Il documento con la lista dei 12mila nazisti e relativi conti correnti, Centro Simon Wiesenthal)
«Bormann è morto, molto probabilmente.. Sì sì lo so, sui giornali si continua a leggere che gira liberamente a Bogotá, ma quasi tutti i più grandi cacciatori di nazisti pensano che sia morto, e dato che hanno la fama di saperla abbastanza lunga, non ho nessuna intenzione di mettermi a discutere con loro. Szell e Mengele, invece, sono tutti d’accordo nel sostenere che siano ancora di questo mondo».
BUONI, CATTIVI E CATTIVISSIMI
Nel backstage coi personaggi
«Biesenthal non la smetteva di squadrarlo, gli occhi non smettevano di scintillare. “T.B. Levy” disse Biesenthal. “Dato che suo padre era un ammiratore di Macaulay, suppongo che stiano per Thomas Babington”.
“Sì, signore, solo che di solito cerco di sorvolare su Babington”.
“Se ben ricordo eravate in due; che personaggio aveva scelto per l’altro figlio?”
“Thoreau. Si chiama Henry David”.
Era vero, solo che Levy non lo chiamava mai a quel modo, quando erano soli. ‘Doc’, lo chiamava. Era il loro grande e unico segreto. In tutto il mondo, nessun altro lo chiamava così, ‘Doc’. Così come nessun altro al mondo, oltre a Doc, chiamava lui Babe.».

Scopriamo le origini dei nomi dei due personaggi.
Thomas Babington Levy (Babe) viene da Thomas Babington Macaulay.
Fu uno storico e politico britannico che, nel 1832, contribuì a creare la legge per la riforma elettorale e l’anno seguente quella per l’abolizione della schiavitù. In India si occupò della stesura del codice penale indiano.
Henry David Levy (Doc) viene da Henry David Thoreau.
Fu un filosofo, scrittore e poeta statunitense. Per lui la natura è l’oggetto ultimo della pratica filosofica, fonte di benessere e soluzione esistenziale.
E’ noto soprattutto per il testo autobiografico Walden ovvero la vita nei boschi, una riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, e per il saggio Disobbedienza civile in cui sostiene che è ammissibile non rispettare le leggi quando esse vanno contro la coscienza e i diritti dell’uomo, ispirando in tal modo i primi movimenti di protesta e resistenza non violenta.
Come scoprirete durante la lettura, due nomi scelti non a caso!


in foto: Odisseo, Scilla e Cariddi di Johann Heinrich Füssli
«Sei Scylla?» chiese alla fine.
Dio buono, e chi pensava che fosse, dopo tutti quei preamboli? L’inettitudine della ragazza cominciò a irritarlo. Aveva già fatto troppa gavetta, per dover ancora trattare con i lacchè o con gli stupidi. Non disse nulla, si limitò ad annuire.
«Credevo che tu fossi una donna».
E io credevo che tu fossi un maschio, fu sul punto di rispondere, il che naturalmente era vero; perciò tacque.
«Scylla non era una donna mostro?»
«Scylla era una roccia. Una roccia, uno scoglio vicino a un gorgo. Il gorgo si chiamava Cariddi».
«E tu, anche tu sei una roccia?» Proprio. Nei giorni buoni, naturalmente.
La leggenda di Scilla e Cariddi è una delle più conosciute della mitologia classica, citata da molti autori tra cui Omero, Ovidio e Virgilio, è stata tramandata fino a noi.
Si narra che Scilla fosse solita recarsi sigli scogli di Zancle per passeggiare sulla spiaggia. Lì un dio marino, che una volta era un uomo di nome Glauco, la vide e se ne innamorò al punto di respingere Circe per lei.
Circe, offesa, decise di vendicarsi, tramutando la ragazza in una creatura mostruosa. Così Scilla andò a nascondersi in un antro sulla costa della Calabria che si protende verso la Sicilia. Da lì spaventava i marinai che, imprudenti, le si avvicinavano.
Così Scilla e Cariddi vengono ricordati insieme, come un mostro e un gorgo, ai due lati dello stretto di Messina, che terrorizzano i marinai che vi si avventurano.
«Chen […] decise di servirsi del suo nunchaku. Era un’onorevole arma, antica come il mondo: due robusti bastoncini di legno uniti da un fil di ferro o di cuoio, secondo le preferenze. Chen preferiva il fil di ferro. Era un maestro di nunchaku e per il mondo dei bianchi la stranezza dell’arma la circondava di un’aura di paura».
Chen
Il personaggio di Chen è solo marginale all’interno del romanzo, ma è raccontato con molta precisione sia fisicamente che caratterialmente. Goldman si è ispirato, infatti, nella creazione di questa spia assassina, ai personaggi dei film di kung-fu, molto di moda negli anni Settanta.
Le sue descrizioni di maestro di nunchaku e di silenzioso ma letale sicario asiatico ci fanno pensare ai personaggi interpretati da Bruce Lee sul grande schermo. Lo stesso Bruce Lee viene citato nel romanzo per descrivere l’indignazione di Chen, quando vede che, dato il successo dei film di arti marziali, la sua arma letale stava diventando “un giocattolo per delinquenti di tutto il mondo”.
Biesenthal
Biesenthal è il professore della Columbia University con cui vediamo parlare più volte Babe nel corso della storia, che fu anche un caro amico di suo padre.
Il suo nome è ispirato a quello di Simon Wiesenthal. Fu un ingegnere e scrittore austriaco di origine ebraica. Superstite dell’Olocausto, dedicò gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sui nazisti in latitanza, perlopiù fuggiti in America, per poterli rintracciare e sottoporre a processo. Per i suoi sforzi si guadagnò il soprannome di Cacciatore di Nazisti.
Gli è stato dedicato il Centro Simon Wiesenthal, che promuove la consapevolezza dell’antisemitismo, controlla i gruppi neonazisti, gestisce i Musei della Tolleranza, e collabora per assicurare alla giustizia i criminali di guerra nazisti sopravvissuti.
«Biesenthal entrò come un fulmine nell’aula. Come un fulmine è l’espressione esatta. I suoi occhi – erano così, lui non poteva farci niente – sembravano illuminati dal di dentro. Già al primo sguardo si capiva che era un uomo brillante».